Il Regolamento telegrafico per la Sicilia - I Telegrafi delle Due Sicilie

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La Telegrafia Elettrica | Regolamento telegrafico per La Sicilia

A distanza di tre mesi dalla pubblicazione del Regolamento telegrafico per i Domini continentali, il 26 aprile 1857, Paolo Ruffo di Bagnara, principe di Castelcicala [1], Luogotenente generale del re in Sicilia, rese esecutive le “Istruzioni provvisorie per la telegrafia elettrica in Sicilia” suddivise in tre parti: il regolamento per il servizio telegrafico, la contabilità e le tariffe.
La promulgazione fu accompagnata da una lettera d’approvazione inviata ad Ernesto D’Amico, regio delegato per la telegrafia elettrica in Sicilia, con la quale il Luogotenente chiarì che “essendo prossima l’attuazione delle linee elettro - telegrafiche in Sicilia”, “onde non recare il menomo [minimo] ritardo”, decise di “approvare in linea provvisoria le istruzioni”, riservandosi  di “provocarne l’approvazione sovrana”.
La “provvisorietà” delle istruzioni, per altro redatte dallo stesso conte D’Amico, fu un “atto dovuto”, formalmente necessario, dal momento che non avendo ancora ricevuto il “reale assenso", le norme furono pubblicate  grazie alle prerogative concesse all'autonoma amministrazione di Sicilia.
Simili nel contenuto, il "Regolamento per la telegrafia nei Domini continentali" e le “Istruzioni provvisorie per la telegrafia elettrica in Sicilia” si differenziarono in alcuni punti che, al di là del merito puramente tecnico ed amministrativo, sottolinearono la specificità della realtà siciliana.
La distinzione tra le due amministrazioni, ancorché partecipanti al medesimo servizio, sin dal primo articolo delle Istruzioni apparve del tutto evidente. Contrariamente a quanto stabilito per i Domini continentali, la divisione delle stazioni in tre classi, non fu recepita dal regolamento per la Sicilia, che introdusse una propria classificazione degli uffici telegrafici, organizzandoli in quattro categorie:
I.     quelli collocati in città più importanti, aperti ventiquattro ore su ventiquattro  per servizio pubblico e governativo,
II.    quelli collocati in città meno importanti, ma tuttavia destinati allo stesso servizio,
III.   quelli destinati al solo servizio diurno, per il  real governo ed i privati,
IV.   quelli destinati all'esclusivo servizio governativo.
La prima, la seconda e la quarta categoria, poterono agevolmente equipararsi alle tre classi previste per i Domini al di qua del Faro, mentre gli uffici di terza categoria, rappresentarono una singolarità dell’ordinamento siciliano. La sospensione notturna del servizio, peraltro contemplata da altre amministrazioni telegrafiche d'Italia e d'Europa, derogò dall'organizzazione prevista dall'articolo 21 del decreto per la telegrafia elettrica al di qua ed al di là del Faro (n.4583 del 5 dicembre 1857), discostando la rete siciliana dal principio del “servizio continuativo”.
Il regolamento telegrafico di Sicilia, del resto, non poté che prendere atto del contesto in cui avrebbe dispiegato la sua azione normativa, ed in tal senso va letto l’articolo 5 comma “i”, con il quale fu formulato il divieto d’accettazione per dispacci presentati “durante la notte o nell’ora prossima alla stessa”, transitanti o diretti, in stazioni prive del  servizio notturno.
In tal modo si evitò di dover sostenere le spese per la gestione di uffici a minor intensità di traffico la cui apertura, nel corso della notte avrebbe prodotto ben pochi utili.
Scorrendo le norme contenute nelle “istruzioni provvisorie per la telegrafia elettrica in Sicilia”, anche la misura del tempo su cui gli uffici avrebbero dovuto regolare il proprio servizio ebbe una peculiarità che la distinse dal resto del regno.
In assenza di una convenzione internazionale che regolasse universalmente il tempo civile, alla metà dell’ Ottocento ogni Stato ebbe la propria “ora ufficiale”. Ben prima che ciò accedesse, in Italia furono in vigore due sistemi di computo orario, uno detto “all'italiana”, in cui il giorno fu diviso in ventiquattro ore uguali, contate a partire da mezz'ora dopo il tramonto del sole, ed uno detto “moderno” o delle “ore di Francia” o di “Spagna” che utilizzò il giorno solare vero, cioè l'intervallo di tempo tra due successivi passaggi del sole al meridiano.
Nelle due Sicilie le “ore d’Italia” rimasero nell'uso comune tra quegli strati di popolazione legati, per abitudini di vita e di lavoro, al ciclo solare; sul versante istituzionale e commerciale il tempo si misurò secondo il metodo “moderno” consolidatosi nel continente europeo. Eccezion fatta per l’Inghilterra, nessun paese ebbe una vera e propria “ora nazionale”, le ferrovie, i servizi marittimi di linea e soprattutto il telegrafo elettrico, resero evidente l’esigenza di un’ora “ufficiale” a cui far riferimento per gli orari di arrivo e partenza dei treni e delle navi, o per regolare la corrispondenza telegrafica. Dagli anni cinquanta dell’Ottocento, in Italia ciascuno Stato adottò una proprio tempo medio ufficiale, misurato sul meridiano passante per le capitali. A Napoli, le convenzioni ed i regolamenti telegrafici del regno delle due Sicilie stabilirono che gli orologi delle stazioni fossero regolati sull'ora ufficiale di Napoli (art. 11 decreto n.1528 del 23 settembre 1854).  
In Sicilia, più per marcare una identità nazionale, che per reali motivi di natura pratica, l’ora ufficiale fu misurata dal meridiano passante per l’osservatorio astronomico posto sul Palazzo reale di Palermo.
Il regolamento telegrafico di Sicilia sancì all'articolo 57 che “tutte le stazioni regoleranno ogni mattina i loro pendoli su quello della stazione di Palermo, tenendo ragione della differenza della longitudine in tempo”. Le due Sicilie, di fatto, ebbero due “ore ufficiali”, l’una di Napoli e l’altra di Palermo, ambedue adottate sia per la corrispondenza con l’estero che per quella interna, come se le comunicazioni tra i Domini al di qua ed al di là del Faro avvenissero tra due stati esteri, ciascuno con il suo “tempo”.
L’indipendenza dell’ora ufficiale di Palermo, fu mantenuta ben oltre l’unificazione d’Italia, sino al 1866, allorché il regno d’Italia, per ovvi motivi di praticità, di prospettiva politica, oltre che simbolici, decretò che l’unica ora nazionale fosse quella del meridiano di Roma, all'epoca ancora capitale dello Stato della Chiesa.
Sul piano tecnico, la telegrafia elettrica nei Domini al di là del Faro si contraddistinse anche per aver adottato esclusivamente macchine Morse (tipo Hipp), in luogo delle Henley ad induzione, sino ad allora utilizzate dalla maggior parte delle stazioni continentali.  La possibilità offerta dai primi apparati Morse di riportare su di una traccia cartacea i segni telegrafici ricevuti, fu un aspetto che non sfuggì nella stesura della seconda parte del regolamento, dedicata alla “contabilità ed amministrazione della telegrafia elettrica”.
Aspetti quali la fornitura ed il consumo delle strisce di carta per la impressione dei segni, fu regolamentata mediante la loro vidimazione e l’istituzione, presso ogni stazione, di un registro di carico e scarico delle forniture.
La periodica restituzione delle “strisce” utilizzate, così come il reintegro delle scorte, fu rigidamente  disciplinata da un protocollo di restituzione e consegna. La procedura contemplò l’utilizzo di plichi sigillati, la cui apertura o sigillatura, fu disposto dovesse avvenire alla presenza di un incaricato della direzione elettro-telegrafica di Sicilia e dell’ufficiale più alto in grado presente nella stazione (artt. nn. 18, 19 e 20) . I funzionari deputati ai controlli ispettivi ebbero, tra l’altro, incarico di verificare i consumi di carta e la tenuta del registro di carico e scarico con ordine di produrre un verbale per ogni verifica compiuta. I plichi contenenti le strisce di carta, suddivisi per stazione telegrafica, furono custoditi in un apposito archivio presso l’Amministrazione Finanziaria di Sicilia. Una tale puntigliosa procedura si rese necessaria, sia per motivi di controllo di spesa ma anche per assicurare la conservazione delle strisce, a tutela della riservatezza dei messaggi su di esse registrati.
Nessuna variazione intervenne sulle tariffe per il servizio telegrafico, avendo il regolamento di Sicilia recepito quanto stabilito in materia dal Decreto n. 4602 del 15 dicembre 1857.
Paolo Ruffo di Bagnara, principe di Castelcicala, Luogotenente generale del re in Sicilia, il 26 aprile 1857 rese esecutive le “Istruzioni provvisorie per la telegrafia elettrica in Sicilia”. William Salter, National Portrait Gallery, Londra.
Disposizioni provvisorie per l'attuazione del servizio elettro-telegrafico in Sicilia. Parte I Regolamento di Servizio (1857).
Disposizioni provvisorie per l'attuazione del servizio elettro-telegrafico in Sicilia. Parte II e III  Contabilità e Tariffe (1857).
triscele

[1] Paolo Ruffo di Bagnara, terzo  principe di Castelcicala nacque a Richmond nel 1791 e morì a Parigi, fu un diplomatico e militare del regno delle due Sicilie. Proveniente dall'influente famiglia napoletana dei Ruffo di Bagnara, di cui fu parte il cardinale Fabrizio Ruffo, tesoriere di Pio VI, vicario generale di Ferdinando IV e capo dell'esercito della Santa Fede, Paolo combatté le truppe napoleoniche al fianco degli inglesi come luogotenente del reggimento  delle "Dragoon Guards" e si distinse nella battaglia di Waterloo. Fu nominato colonnello dell'esercito napoletano e inviato come ambasciatore del Regno delle Due Sicilie alla corte di Vienna (1831) e a San Pietroburgo nel 1832. In servizio diplomatico a Londra dal 1840, sedette alla destra del duca di Wellington all'ultimo "banchetto di Waterloo" nel 1852 . Nel 1855 successe al generale Carlo Filangieri come luogotenente generale del re in Sicilia e comandante in capo dell'esercito.
 A mio padre   
(Procida 1930 – Napoli 1980)
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Telegrafo  
dal greco antico tele (τῆλε) "a distanza" e graphein (γράφειν) "scrivere", scrittura.





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